LA STRANEZZA. Conversazione con Maurizio Calvesi, AIC, IMAGO

Per il film diretto da Roberto Andò La stranezza che ha ottenuto il Nastro dell’anno 2023, lei si è aggiudicato La chioma di Berenice [categoria cinema], ottenendo anche una nomination ai David Di Donatello. La trama ruota intorno al ritorno di Luigi Pirandello (interpretato da Toni Servillo) nell’amata Sicilia, in occasione del compleanno dell’amico Giovanni Verga. Giunto nella nativa Girgenti, Pirandello viene a conoscenza della morte della sua anziana balia Maria Stella. Decide così di organizzarle un ricco funerale, per il quale assolda Bastiano e Nofrio (Ficarra e Picone), due singolari becchini, che però non lo riconoscono e gli rivelano inoltre di essersi imbarcati nell’impresa di allestire uno spettacolo di teatro amatoriale.

Il film è ambientato negli anni ’20 in Sicilia: tra le locations principali quelle di Palermo, Catania, Trapani ed Erice con trasferte a Montalcino (SI), Castel Madama e il Teatro Valle (RM). Come si sono svolti i sopralluoghi?

I sopralluoghi si sono svolti come prima ricerca zona trapanese ed Erice ci è sembrata da subito la più vicina nel nostro racconto e soprattutto di sera aveva un aspetto misterioso ed inquietante. Le riprese notturne delle uscite dal teatro dei nostri protagonisti rendevano, anche grazie ad una leggera nebbiolina, naturalmente il clima dell’epoca del 1920.

Corrisponde a verità che inizialmente si sia pensato di girare il film in bianco e nero?

All’inizio pensavamo di girare in bianco e nero, per convogliare maggiormente l’attenzione dello spettatore sulla storia, più in là ci siamo resi conto che col colore potevamo rendere meglio, non solo lo sviluppo emotivo, ma anche più apprezzabile tutti gli elementi del racconto, valorizzando maggiormente scenografie, costumi e il lavoro dei truccatori e dei parrucchieri. Quindi ci siamo divertiti a fondere l’impronta temporale, mischiandola con le sensazioni che ci rimandava il racconto sulla costruzione del look. Nella messa in scena dello spettacolo teatrale ho cercato quindi di avere uno sguardo moderno di quegli anni, pensando ad un cinema espressionista sia tedesco che quello russo, ricorrendo spesso a delle foto e delle immagini di Majakovskij, spettacoli quindi in cui la presenza espressionista doveva essere forte.

Come si è giunti alla scelta del colore quindi? Ha fatto dei provini a tal proposito immagino?

In fase di pre-shooting abbiamo provinato varie ottiche a cui abbiamo abbinato vari filtri, è stata fatta una ricerca filmica e pittorica includendo elementi della fotografia still, infine con delle idee più definite abbiamo fatto dei provini con gli attori e alcuni elementi di scenografia e costumi e siamo arrivati a vagliare due tre look da cui poi abbiamo estrapolato quello che è stato scelto alla fine.

La sua fotografia, che non si concede certo a colori sgargianti e vividi, sembrerebbe volutamente quasi rivolta verso una sorta di desaturazione del colore?

Questa dimensione cromatica è legata ad una precisa lettura dell’epoca rappresentata? Pensando al periodo storico, alla Sicilia di quegli anni e al tipo di storia che andavamo a raccontare, ho immaginato una forte desaturazione, accentuata dall’uso di una specie di bleach bypass, inoltre abbiamo accostato i toni più caldi del giallo in contrapposizione a quelli se vogliamo più acidi del verde, che come dicevo prima fondevano un’idea della Sicilia anni ‘20 con le sfumature più oscure del racconto che insieme al lavoro di contrasti e chiaroscuro ho cercato di marcare maggiormente in alcune situazioni. In effetti quindi la desaturazione non è stata totale, è servita come fonte per avere un equilibrio e siamo stati attenti con la scenografia ed i costumi a non avere mai colori vivi ma spenti e rivolti verso la saturazione e privi di corpo colorante.

Il suo lavoro, che denota una certa matrice pittorica, indubbiamente suggestivo e al servizio del racconto, rende alla perfezione l’atmosfera degli ambienti e tutte quelle sfumature che compongono un microcosmo meta-teatrale di rara fascinazione narrativa, vero e proprio protagonista del film. Quali sono state le sue reference?

Le reference chiaramente cambiano da film a film; nel caso de La Stranezza alcuni paesaggi ricordano le campagne e le marine di Giuseppe De Nittis, che è un pittore che io amo molto, un macchiaiolo vicino alla corrente del realismo.

Con quale modello di macchina da presa avete girato? Con quale serie di obiettivi?

Abbiamo girato con 3 macchine, 2 Alexa mini e 1 Alexa xt, abbiamo usato una serie di Cooke anamorfiche T2.3 (con filtro gold), Tecnovisioin 150mm- 180mm, zoom Angenieux 25-250mm, zoom Technovision 40-120mm, Canon 400mm anamorfizzato.

Avete sviluppato delle LUTs (Look Up Tables) durante le riprese o in post- produzione?

Dopo aver sviluppato tutte le idee di look in fase di preparazione, mi sono confrontato col DIT e il Colorist così da poter poi partire con un’idea ben definita che ci ha permesso di esporre e visualizzare quello che sarebbe stato il risultato finale e di conseguenza farci capire fin dove potevamo spingerci.

Cosa può dirmi del suo reparto? Le piace collaborare con lo stesso gruppo di professionisti o non necessariamente?

I miei collaboratori lavorano con me da parecchio tempo, così come i precedenti collaboratori che hanno fatto i vari passaggi, come ad esempio da aiuto-operatore ad operatore, fino in alcuni casi a diventare bravi direttori della fotografia. Spesso quindi mi capita di lavorare con le stesse persone, siamo un bel gruppo.

Una sequenza che ricorda con particolare soddisfazione?

[per Andò la sequenza chiave del film è quella in cui tutti e tre i protagonisti si ritrovano al cospetto di una bara imbastita a mo’ di tavolo da pranzo] La scena della bara è stata molto importante per scegliere se colore o bianco e nero. Montata la scena della bara e gli esterni sono andato in Color con il mio amico e grande colorist Andrea Orsini ed abbiamo ottenuto una visione in bianco e nero ed una a colori. Viste tutte e due con Roberto Andò abbiamo capito che io bianco e nero aveva perso un po’ di magia e quindi la versione colore trattata è stata quella che ha soddisfatto tutti.

Quella più complicata invece?

La parte più complicata ma sicuramente la più interessante è stata all’interno del Teatro Valle che nel racconto è il luogo vero dove è avvenuta la prima teatrale dei Sei personaggi di Pirandello, nel 9 maggio 1921. Nella ricostruzione scenica dello spettacolo ho cercato di riprodurre delle immagini moderne per l’epoca, visto che la luce elettrica a Roma nel 1921 c’era sia nelle case che in città, al contrario di quanto poteva essere nei piccoli paesi della Sicilia. Il rapporto con il cast.

Con Servillo lei ha lavorato in molte occasioni, come si pone il nostro attore più noto verso l’Autore della Cinematografia e più in generale qual è il suo rapporto con gli attori/attrici?

Con Toni Servillo ho lavorato in tre film. Toni è un grande attore, guarda ed osserva tutto con un certo interesse e fa anche delle domande inerenti al mio lavoro con curiosità. È sempre un piacere vederlo all’opera sia quando recita sia nei momenti di pausa ed è un attore che stimola tutti a fare sempre di più.

Lei oltre a La stranezza ha illuminato praticamente l’intera filmografia di Andò, tra i tanti film ricordiamo ad esempio Sotto falso nome (2004), Viva la libertà (2013), Le confessioni (2016). Come si svolge la vostra collaborazione?

Con Roberto Andò sono vent’anni che ci conosciamo ed abbiamo fatto insieme otto film in questi anni, tutti diversi ed appassionanti. La nostra collaborazione nasce come primo aspetto dal soggetto e poi dalla sceneggiatura e da lì partono questi incontri di condivisione in cui ci sono già le immagini del film, in quanto Roberto essendo un regista teatrale scrive le sceneggiature pensando agli attori, alle immagini ed alla fotografia. Il set è il momento della consacrazione del nostro lavoro.

Qual è il rapporto di Andò con la fotografia, la luce?

La sua descrizione spesso già ti fa vivere un contesto preciso e da lì nascono sul set ulteriori modifiche e suggerimenti, soprattutto a livello fotografico con un cambio di marcia che avviene sul set grazie ad una grande ricerca. Al momento del set è la parte conclusiva di un bel rapporto personale in cui insieme ci interroghiamo del film che stiamo facendo.

Una curiosità: nel corso della sua formazione, c’è stato un film, dal punto di vista fotografico, che l’ha spinta a intraprendere (con successo) la carriera di cinematographer?

Nel corso della mia formazione ci sono stati dei film dal punto di vista fotografico che mi sono rimasti dentro, notando che qualcosa stava cambiando dentro di me. Devo dire che il primo film che mi ha conquistato, ero giovanissimo, è stato Il Conformista di Bertolucci, con una fotografia di Vittorio Storaro e la regia di Bertolucci che sono stati emblematici. Contemporaneamente c’è stato un altro grande direttore della fotografia, Conrad L. Hall, che scoprii grazie al film Butch Cassidy. Pure questo un film bellissimo, più di genere, ma con delle fantasie. Lo stesso direttore della fotografia ha poi fatto un altro film meraviglioso Era mio padre (Road to Perdition), che proprio porto dentro di me. Altro film importante di Conrad L. Hall è stato Fat City di John Huston. Non posso certo dimenticare Delli Colli, Rotunno, De Santis grandissimi nostri italiani direttori della fotografia. Una piccola nota la devo però dare al mio maestro Tonino Nardi, un amico che è stato di grande insegnamento che purtroppo è morto giovane ed al quale devo tanto. Se poi faccio ancora questo lavoro è perché, come questi film mi hanno sorpreso e segnato da giovane, così voglio continuare ad avere la fanciullezza e questa voglia di sperimentare e a sorprendermi ogni volta con un progetto nuovo e stimolante, come è stato in maniera importante La Stranezza.

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